Ormai è finito il tempo in cui l’ortodossia ufficiale imponeva l’ossequio alla ipocrita litania “i provvedimenti giudiziari non si discutono, ma si impugnano”.
Già da tempo il perverso connubio tra pubblici ministeri ed informazione, le cui carriere dovrebbero essere realmente separate, ha prodotto danni al processo penale ed alla opinione pubblica nazionale, ormai drogata dagli eccessi del carrierismo.
In forza di questa evidenza, che ha causato il più grave scandalo della storia repubblicana, la diffusione di ciò che accade all’interno dei Palazzi di Giustizia si rende indispensabile, se non altro, nel tentativo di riequilibrare lo strapotere del PM all’interno del processo penale.
Ormai è finito il tempo in cui l’ortodossia ufficiale imponeva l’ossequio alla ipocrita litania “i provvedimenti giudiziari non si discutono, ma si impugnano”.
E, dunque, si forniscono, oggi, ulteriori elementi di conoscenza di fatti gravi emersi nella vicenda giudiziaria dell’avv. Carlo Maria ROMEO, avvocato penalista reggino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa secondo un rito che ormai presenta connotati di una perversa ed inammissibile “specialità”.
La vicenda nasce dalle dichiarazioni accusatorie di un collaboratore di giustizia falso come una moneta da 3 €uro, le cui “conoscenze” hanno prodotto n. 53 richieste di archiviazione del PM in data 14 agosto 2019.
L’accusa al penalista è mossa dal bugiardo patologico PANARINFO Daniel, ventisettenne rampollo di una famiglia appartenente alla “stidda” siciliana: il professionista calabrese sarebbe stato intermediario, in epoca compresa tra dicembre 2015 ed il 2 marzo 2016, di una asserita cessione di mezzo chilo di cocaina da Bruno NIRTA a Bruno TRUNFIO, calabrese il primo, di origini calabresi il secondo, entrambi clienti dell’avv. ROMEO.
La Procura di Torino muove al professionista anche la contestazione dell’aggravante speciale di avere agevolato la locale di Chivasso, in persona di Bruno TRUNFIO, nonostante la posizione di costui sia stata archiviata il 14 agosto 2019 dalla Procura della Repubblica dopo averlo indagato nello stesso procedimento per associazione mafiosa (art. 416 bis c.p.).
Sulla presunta agevolazione della sconosciuta locale di Aosta, nell’ambito della quale NIRTA Bruno sarebbe collocato in posizione apicale, si coglie la pervicace ed aprioristica prevenzione degli Inquirenti nei confronti del penalista.
I 500 grammi di cocaina oggetto della presunta cessione sarebbero stati custoditi per conto di Bruno NIRTA dal collaboratore di giustizia PANARINFO Daniel e da un sodale di costui, tale LUCARINI: l’uno e l’altro non sono calabresi, ma SICILIANI.
Entrambi sono stati già giudicati per tale fatto con sentenza irrevocabile in assenza di contestazione dell’aggravante di avere agevolato la locale di Aosta nella quale si assume una partecipazione apicale di quel NIRTA Bruno per conto del quale i due detenevano lo stupefacente!
Dunque, come si spiega che all’avv. ROMEO venga contestata l’aggravante speciale della agevolazione mafiosa? E non è finita!
Nessuna aggravante agevolatrice della ‘ndrangheta è stata neppure ipotizzata sul conto della signora Paola RUBEO, avvocata di origini liguri, già condannata a 4 anni e 2 mesi in via definitiva per riciclaggio, senza che l’implacabile Procura torinese le abbia mai fatto varcare la soglia di un carcere.
Il 20 aprile 2016 il palermitano LUCARINI viene trovato in possesso di 8 grammi di cocaina sotto casa del rampollo del casato siciliano mafioso PANARINFO; i Carabinieri lo fermano ed in casa gli sequestrano oltre un chilo di cocaina.
Assume la difesa di LUCARINI la signora Paola RUBEO, la quale instaura da subito con il futuro collaboratore di giustizia PANARINFO un rapporto che sembra anche essere caratterizzato da una certa intimità, considerata l’insistenza delle domande formulate sul punto al collaboratore di giustizia negli interrogatori cui è stato sottoposto.
L’avvocatessa Paola RUBEO viene più volte intercettata al telefono con PANARINFO: a lui comunica che si sarebbe recata in carcere da LUCARINI per ricordargli, a mò di ammonimento, il consumo personale della cocaina che invece avrebbe dovuto custodire e destinare allo smercio.
E ciò, la RUBEO, farà per ottenere un sensibile ridimensionamento delle pretese di sostentamento che la moglie del recluso avanzava sempre più insistentemente presso il collaboratore di giustizia PANARINFO dalla donna ritenuto responsabile dei guai del marito.
La RUBEO non va tanto per il sottile, prende in mano la situazione e comunica a PANARINFO che con LUCARINI avrebbe usato argomenti convincenti, cioè di volere informare le alte sfere e di invitarlo a “non rompere il cazzo alla collettività internazionale” perché “questa gente è molto incazzata … molto!”
Di più: ottenuto il dissequestro del telefono di LUCARINI, l’avvocatessa Paola RUBEO auspica che della circostanza tenga conto e le sia grata “chi di dovere”, con un chiaro e non equivoco riferimento a Bruno NIRTA con il quale il collaboratore di giustizia si trovava in Spagna.
Ebbene, tutto ciò, per la Procura di Torino, non è stato sufficiente per ipotizzare l’aggravante speciale della agevolazione della ‘ndrangheta, anzi ha trattato la professionista di origini liguri, non solo in sede di requisitoria, alla stregua di minus habens senza avere mai acquisito alcun conforto di tipo scientifico.
Sarà perché l’avvocatessa RUBEO ha inteso limitare i danni, come del resto ha fatto il suo stesso assistito PANARINFO, dopo avergli fortemente suggerito la collaborazione garantendo gli appoggi di uno che le ha dato “lo sgamo” ed addirittura rassicurandolo anche con l’inoltro di uno scambio di e-mail con il vertice della Procura?
Ognuno vede che sembra sufficiente essere calabrese perché il marchio di ndrangheta non te lo levi nessuno: scattano subito le ipotesi di presunte aggravanti agevolatrici che consentono ai Pubblici Ministeri di accedere ad un rito speciale che da subito porta all’Accusa il risultato di invertire l’onere probatorio, ribaltandolo a carico del malcapitato, che si ritrova accusato di non avere tenuto conto della operatività di una locale di ndrangheta a distanza della città in cui vive ed opera.
E poco importa se il malcapitato, come può essere l’avv. Carlo Maria ROMEO, vive ed opera a Torino ed ha letto su “LA STAMPA”, il 5 luglio del 2018, che il Procuratore di Aosta smentiva la presenza nello stesso capoluogo valligiano di una locale di ‘ndrangheta: male per lui se non ha preventivamente ipotizzato che un pentito un giorno si sarebbe svegliato per informare l’Umanità dell’esatto contrario!
Se, poi, si apprende dal Financial Times di pochi giorni fa di oltre 1 miliardo di € riciclato a Londra dalla ‘ndrangheta nella totale indifferenza dell’apparato investigativo nazionale, è inevitabile che la conclusione dell’uomo della strada sia quella di uno Stato debole con i forti.
Perché la forza, lo Stato, la riserva ai deboli, ai Calabresi, untori del crimine organizzato, che, per vivere in tranquillità ed al riparo dal sacro furore del carrierismo giudiziario, dovrebbero trasferirsi in Papuasia, dove non risulta che un pentito abbia ancora ipotizzato l’insediamento e l’operatività di una locale di ‘ndrangheta e, soprattutto, che nessuna reincarnazione di Torquemada lo abbia assecondato.
E, da ultimo, c’è da chiedersi su quali basi avvengano le progressioni di carriera e chi nei fatti ne sopporti il costo.
https://www.adessoparloio.com/quando-si-parla-di-razzismo-giudiziario/
13-07-2020 08:14
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